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OMBRA Marisa - Lilia

Marisa Ombra (Asti, 30 aprile 1925 – Roma, 19 dicembre 2019) è stata una partigiana e scrittrice italiana, dirigente dell'Unione donne italiane (UDI), vice presidente nazionale dell'ANPI, insignita dell'onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana.

La prima esperienza militante, Marisa Ombra, allora sedicenne, la visse nell'inverno 1943 quando con la vecchia macchina da scrivere Remington iniziò, insieme a tutta la famiglia, il lavoro clandestino di produzione de "Il Lavoro", giornale della Federazione comunista astigiana. Venivano battuti a macchina anche i volantini contro la guerra, per l'aumento delle razioni e dell'indennità di contingenza, per la distribuzione del carbone, poche pagine di carta velina, duplicate in modo rudimentale.

"Le copie venivano poi appese, per l'asciugatura, a una gran quantità di fili tesi in ogni direzione nella cucina, che era il luogo dove si viveva studiava e lavorava. Il paesaggio delle nostre serate fu dunque per molti mesi quell'insolito bucato, che al mattino veniva raccolto e consegnato da papà a chi doveva farlo circolare."

Il lavoro di stampa clandestina si intensificò nell'inverno 1943-44, fino agli scioperi di marzo quando il padre venne arrestato. La sua posizione era piuttosto preoccupante tanto che il partito pensò di organizzare la fuga sua e di altri compagni. La famiglia ne venne informata perché la fuga era molto rischiosa e in caso di fallimento la posizione dei carcerati sarebbe peggiorata, con il rischio di conseguenze anche sui famigliari.

"Il colpo di mano mise in ridicolo la nuova Repubblica Sociale, l'antifascismo clandestino apparve molto più potente e i partigiani molto più organizzati di quel che in realtà non fossero. Le barzellette, che mai erano mancate, si arricchirono di nuove battute."

Nei mesi successivi all'arresto del padre, Marisa, Pini e la madre vissero assediate nella loro casa di corso Alessandria, posta sotto sorveglianza giorno e notte dal regime. I contatti con i compagni e i parenti erano diventati quasi impossibili. In caso di azioni partigiane tutte e tre erano esposte a rappresaglie, così non esitarono ad accettare la proposta di andare nelle Langhe. Nessuna di loro aveva idea di cosa l'attendesse, sapevano solo che in collina faceva freddo ed era oramai autunno inoltrato e dovevano portarsi più vestiti possibile. Per non insospettire la sorveglianza, uscendo con borse o valigie, le tre donne indossarono quanti più abiti potevano sotto i cappotti. Superarono i posti di blocco in uscita dalla città, verso il ponte del fiume Tanaro, inventando di dover andare al funerale di un parente. A Canelli incontrarono il padre e dopo si divisero: Pini e la madre a occuparsi di un centro stampa nelle Langhe, Marisa a fare la staffetta fra Langhe e astigiano e a occuparsi dei Gruppi di difesa della donna.

Il lavoro della staffetta partigiana consisteva soprattutto nel camminare. Il pericolo maggiore per le staffette era di cadere nelle mani dei tedeschi o dei fascisti. Nessuna di loro sapeva come avrebbe reagito alle torture, se sarebbe riuscita a resistere. Di fronte a questo pericolo, tutte le altre difficoltà erano superabili con l'entusiasmo e la sprovvedutezza giovanili, più forti della paura. Superabili i pidocchi, procurati dai teli di paracadute usati come coperte; la scabbia che procurava dolore e prurito; le castagne e le nocciole come unico alimento; le notti passate tra le vigne in fondo valle. Quei sei mesi passati nelle Langhe sono mesi di rastrellamenti e di continui spostamenti, di freddo e di ansia, di marce di notte nella neve attraverso vari itinerari lungo una direttrice di oltre ottanta chilometri, tra le basse colline del Monferrato e le quasi montagne delle Langhe: tra Belveglio, Mombercelli, Cortemilia, Cravanzana, Torre Bormida, Gorzegno, Feisoglio, Serravalle Langhe. Era preferibile camminare di notte e riposare di giorno nelle stalle, messe a disposizione dai contadini.

"Il lavoro della staffetta era un lavoro solitario. Ricevuto l'ordine, era affar suo eseguirlo. [...] Tutto dipendeva dalla prontezza nel capire le situazioni e nel decidere cos'era meglio fare. Il lavoro della staffetta non era solo prezioso, era davvero il più difficile. Richiedeva prontezza di riflessi, capacità di mimetizzarsi e anche di improvvisare e recitare parti che potessero risultare credibili. Richiedeva sangue freddo e lucidità, stare sempre all'erta."

Marisa per un breve periodo di tempo fece da segretaria alla Giunta di governo della Repubblica dell'Alto Monferrato, nella sede di Agliano. Qui venne anche incaricata di organizzare una cellula dei Gruppi di difesa della donna (GDD) che erano la forma, prevista dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), per l'organizzazione della difesa e resistenza delle donne. Vi aderivano donne di tutti i partiti del CLN e avevano un programma che andava oltre la soluzione dei problemi causati dalla contingenza del momento, guardando al futuro con rivendicazioni come il diritto di voto, la parità salariale, l'accesso a tutte le professioni e carriere.

"Penso che chi inventò, costruì e lavorò ai GDD, fece qualcosa che superò largamente i propositi iniziali: quei gruppi furono la rottura della tradizione e una grande scuola di addestramento alla politica. Aprirono la strada alla presa di coscienza, da parte delle donne, di essere persone. Con proprie capacità di pensare e comunicare, di interrogarsi sui problemi che riguardavano il mondo. Fino ad allora, la vita per le donne cominciava e finiva dentro una casa. [...] Ad Agliano, le casalinghe e le contadine presenti alla riunione posero domande della cui importanza sicuramente non si rendeva conto né chi le poneva, né chi vi rispondeva: cos'è la democrazia, cosa sono i partiti, come si fa a distinguerli l'uno dall'altro, come si vota. [...] Non so pensare alle risposte che cercai di dare. Lavorai di immaginazione, raccontai probabilmente ciò che le mie speranze e i miei desideri mi suggerivano. L'unica cosa vera e certa, di cui tutte eravamo più o meno consapevoli, era che si doveva reinventare tutto , costruire una società della quale nessuno aveva esperienza, in un Paese ridotto a tabula rasa non solo sulle strutture materiali. Purtroppo di queste riunioni se ne fecero poche perché il rastrellamento del 2 dicembre concluse la breve vita della Repubblica dell'Alto Monferrato."

Il 2 dicembre 1944 un massiccio e violento rastrellamento nazifascista pose fine all'esperienza della Repubblica dell'Alto Monferrato e causò lo sbandamento di cinque divisioni partigiane. All'arrivo dei tedeschi che stavano occupando la zona, Marisa, incaricata dal comando di una ricognizione per verificare il loro numero, in quale punto si erano dislocati e come fossero armati, attraversò la Piana del Salto, fra Canelli e Santo Stefano Belbo, tra le raffiche di mitra, mentre la gente fuggiva da ogni parte.

Resasi conto che il paese di Santo Stefano Belbo era stato completamente svuotato dalla popolazione terrorizzata dall’arrivo dei tedeschi, Marisa cercò di individuare il posto telefonico pubblico, immaginando che fosse l’ultimo punto che i partigiani avrebbero abbandonato. Infatti, lì trovò una camionetta di partigiani con il motore acceso, in procinto di lasciare la zona. Con grande sorpresa sulla vettura ritrovò il padre di cui non aveva notizia da mesi. Doppio evento fortuito, in quanto non essendo conosciuta e potendo essere scambiata per una spia, difficilmente sarebbe stata presa a bordo e portata in salvo.

"Dopo la Liberazione, le donne subirono una forte delusione perché si resero conto che non solo la loro azione era stata tenuta nell'ombra, mentre era stato esaltato l'eroismo degli uomini, ma capirono che i compagni non volevano dividere con loro il merito. [...] Credo sia vero che il 25 aprile è stato vissuto con molta gioia, ma anche con malinconia: era la fine di una trasgressione, il ritorno a una norma che certo non sarebbe più stata la stessa di prima del '44, ma non avrebbe più avuto quella intensità di scoperte che la Resistenza aveva reso possibile. Per noi ragazze non si trattava di una scoperta generazionale, ma di una vera e propria rottura storica."

Nel 1948 Marisa Ombra faceva politica in Piemonte: come funzionaria e responsabile femminile della Federazione comunista astigiana, era chiamata "La Pasionaria" per le sue doti politiche e per lo slancio che caratterizzava il suo impegno totalizzante per la rivoluzione, così com'era già avvenuto ai tempi della Resistenza che aveva visto in lei una delle più giovani staffette partigiane ed un'organizzatrice clandestina di prim'ordine."

Il 1956 fu un anno di svolta politica e personale: il rapporto di Kruscev sui crimini di Stalin che fece crollare molte certezze politiche, l'incontro sentimentale della sua vita e il licenziamento del Partito. Le ragioni del suo allontanamento non furono politiche, ma private. In quegli anni Marisa lavorava a Torino e aveva conosciuto il giornalista dell'Unità Giulio Goria, separato dalla moglie, in anni in cui il divorzio non esisteva e non era accettato neanche dal PCI. La frequentazione e poi la convivenza con l'uomo, che nel 2000 sarebbe diventato suo marito, non venne tollerata dal partito che decise di allontanarla.

Il trasferimento del compagno, che Marisa seguì, al quotidiano romano "Paese Sera", inaugurò il periodo romano della sua vita e della sua attività politica. Qui trovò solidarietà e aiuto a rientrare nel lavoro politico. Prima lavorò come funzionaria al gruppo parlamentare comunista della Camera dei deputati guidato da Gian Carlo Pajetta, poi, nel 1960, passò all'UDI nazionale e nel 1970 era presidente della Cooperativa “Libera stampa”, editrice del settimanale "Noi donne", dove rimase fino all'anno della pensione il 1984.

Il 16 aprile 2011 viene eletta componente del Comitato Nazionale ANPI, il massimo organo dell’Associazione e viene eletta Vice Presidente Nazionale ANPI; Il 25 maggio entra a far parte della Segreteria Nazionale. È componente del Coordinamento Donne ANPI. Nel 2016, dopo il 16º Congresso Nazionale ANPI tenutosi a Rimini, viene confermata Vice Presidente Nazionale e componente della Segreteria Nazionale. 

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