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MO Margherita - Meghi

1923 - 2022 Staffetta partigiana e grandissima amante della libertà

Nata in un contesto contadino, fin da piccola, orfana di padre, Margherita e i suoi due fratelli Irma e Luigi, trascorsero la propria infanzia in Alta Langa, dove Margherita frequentò un odiatissimo istituto gestito da suore e conseguì il diploma di scuola media a 12 anni, con tutto sommato una buona media. Successivamente, grazie alle amicizie della madre Celeste, riuscì a frequentare una scuola di taglio e cucito a Torino e coronare il proprio sogno: diventare sarta. Tornata a Lequio a 16 anni aprì un proprio laboratorio di sartoria nel suo paese realizzando per sua madre, come primo abito, un vestito per un battesimo. La sua abilità fece il giro delle colline e le portò così tanto lavoro da dover assumere alcune ragazze che, in occasione delle feste di paese, cucivano fino al mattino. La sua carriera era già decollata quando Margherita capì che la sua vita avrebbe preso una piccola deviazione.

Allo scoppio infatti della Seconda Guerra mondiale, suo fratello Luigi si era arruolato e nel 1943, dopo lo sbandamento della quarta armata, era stato catturato dai tedeschi e portato in Germania, dove era morto prematuramente: ucciso per aver rubato una rapa. Margherita capì quanto fosse necessario agire in prima linea per contrastare quanto stava accadendo e dopo un primo momento in cui si occupó semplicemente di offrire rifugio ai partigiani delle sue colline, decise di salire sulla bicicletta.

Meghi divenne staffetta partigiana con la Seconda Divisione Langhe, che portò alla liberazione di Alba e Torino. Il suo comandante, Pietro Balbo, detto “Poli”, le affidò numerose missioni, consistenti nel passare informazioni da una Divisione partigiana all’altra, nascondendo i preziosi messaggi all’interno dei suoi scarponcini. Meghi seguì la Seconda Divisione a Neive e iniziò a pedalare avanti e indietro, verso Cairo Montenotte, Piana Crixia e Mondovì. Partiva da Castino, andava in bicicletta fino a Savona, prendeva le informazioni e tornava indietro con i bigliettini nascosti. Durante una di queste missioni, nel 1944, una pattuglia fascista, al ritorno da Pamparato, la aspettava a San Michele di Mondovì: molto probabilmente qualcuno aveva fatto la spia. Dopo averla percossa e schiaffeggiata, le dissero che la volevano uccidere perché avevano trovato una sua foto con una pistola in mano. Per costringerla a parlare, un ufficiale, le fece rasare i suoi splendidi capelli rossi e la costrinse a salire su una camionetta per portarla da un superiore che la interrogò.

Lei, come amava raccontare a chiunque, si finse una “contadina stupida” dicendo di essere andata a trovare il fidanzato e di non saperne nulla di guerra e armi. L’ufficiale pensò di poterla sfruttare e le disse che le avrebbe risparmiato la vita ma che lei avrebbe dovuto diventare un’informatrice, offrendole una bici e mille lire. Il giorno dopo, appena libera, Meghi scappò pedalando veloce con i soldi, tornando alla sua formazione dove Poli, il suo comandante, le disse di usare i soldi per comprare una parrucca. Venne arrestata altre due volte, a Santo Stefano nel 1944, dove si finse una semplice sarta, scampó a un attacco tedesco grazie a un prete a Saliceto e si salvò ancora grazie a un civile poco tempo dopo.
Stratagemmi e sotterfugi, uniti da coraggio da leonessa, intelligenza, ironia e arguzia che solo le donne di vent’anni possiedono, la aiutarono in ogni impresa.

Il 25 aprile 1945 arrivò finalmente la Liberazione e con la fine della guerra, Meghi ritornò alla vita normale di sarta, tenendo sempre ben in testa una frase che negli anni successivi, avrebbe ripetuto nelle scuole, agli incontri, a ricercatori, storici, studiosi: “Ci hanno privato una volta della libertà, bisogna stare attenti che non accada mai più”.

DIDASCALIA FOTO: Meghi, sul ponte di Torino il 26 aprile 1945, con il celebre fucile e l’altrettanto celebre parrucca

 

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