Castello Visconteo di Cherasco
Cherasco, città ricca di memorie castellane, è nata da un'unione nello stesso luogo degli abitanti di più castelli: quello di cui si parla, e al quale è regolarmente aggiunto da tutti l'aggettivo 'visconteo' in ricordo della sua erezione ad opera di Luchino Visconti, signore milanese. L'eccellente stato di conservazione si riferisce alla struttura attuale, certamente una delle più integre dell'intera provincia di Cuneo. Ma questa veste, come quella intera dell'edificio, è del tutto recente, dei primi anni del XX secolo; si tratta, più che di un restauro, di una pressoché integrale ricostruzione, soprattutto nelle parti superiori e nelle torri.
Ciò non toglie che la struttura essenziale del casello sia quella originaria e figura tra quelli notevolmente antichi. La sua origina risale infatti alla stessa fondazione della città, o agli anni immediatamente successivi, cioè alla metà del XIII secolo. All'epoca, la regione era tormentata dalle continue lotte per la supremazia locale tra i due marchesi del Monferrato e di Saluzzo e i due grandi comuni di Alba e Asti, che in questa zona tra Tanaro e Stura vedevano confluire le proprie sfere d'influenza. Lotta scarsa di decisioni definitive, ma ricca di devastazioni. Cosicché, nel 1243, un certo numero di feudatari e di contadini dei luoghi circonvicini, cui si aggiunsero alcuni fuoriusciti di Bra e persino cittadini dei comuni in lotta, decisero di riunirsi in un nuovo comune che avesse sufficiente popolazione, dunque sufficiente peso, e che sorgesse in una posizione tale da potersi agevolmente difendere nei confronti dei vari potentati.
Tra i fondatori che concorsero alla sua fondazione vi furono quelli di Ripalta, Manzano, Meane, Sarmatorio, Monfalcone e la città di Alba.
La posizione scelta fu quella su cui ancor oggi sorge la cittadina: un altopiano a forma di cuneo limitato, difeso su tre lati, dai corsi della Stura di Demonte e del Tanaro, che proprio qui si congiungono; un luogo naturalmente protetto, fortificato già dalla natura. Qui venne costruita la città nuova, per difendere la quale bastò, fortificare considerevolmente il solo lato meridionale, il più esposto agli attacchi in quanto non protetto da corsi d'acqua. C'erano tutte le premesse per un importante piazzaforte, come difatti Cherasco divenne ben presto. La piazzaforte fu poi arricchita di un castello, che sorse sul luogo di quello attuale e forse ne prefigurava l'impostazione.
Così munito, il nuovo borgo entrò nella politica della zona, svolgendo in parte un'attività autonoma, in parte, com'era prevedibile, subordinata a più potenti padroni: i Savoia, cui fece ben presto atto di dedizione, gli angioini, di nuovo i Savoia: i quali lo riacquistarono, dopo la parentesi angioina, nel 1347, e lo persero l'anno dopo in favore dei Visconti signori di Milano.
Fu proprio Luchino Visconti, il nuovo padrone, a radere al suolo, nello stesso anno 1348, il primitivo castello, erigendone al suo posto un altro, destinato ad arrivare, per quanto modificato, sino a noi. L'opera risultò a quasi tutti gli effetti una 'citazione' padana trasportata nelle Langhe: impianto quadrato, con torri anch'esse quadrate agli spigoli ed una più piccola torre a protezione del doppio ingresso posto al centro d'uno dei lati; costruzione integralmente in cotto; profilo abbastanza basso rispetto al terreno, contrariamente agli esempi piemontesi contemporanei, sempre o quasi notevolmente sviluppati in altezza, almeno nelle torri.
Tra i domini viscontei occidentali, Cherasco aveva una parte notevole, tanto che compare ben due volte come dote di un matrimonio della dinastia: nel 1368, quando Violante Visconti sposò Lionello, duca di Clarence, e nel 1387, quando Valentina Visconti andò sposa a Luigi d'Orléans; tutto questo probabilmente contribuì a mantenere in buono stato il castello, peraltro più volte assalito, in quegli anni, da compagnie di ventura inglesi. Non era, del resto, che uno degli elementi fortificati del luogo: perché Cherasco fu, durante tutto il periodo, un'importante piazza, per il controllo militare del Piemonte sudoccidentale. Ruolo che continuò nel tempo. Nel XVI secolo, all'epoca delle lotte per la supremazia in Italia, troviamo infatti la città, e più specificamente il castello, coinvolti negli scontri tra gli opposti eserciti di Francia e di Spagna. Quasi contemporaneamente, Cherasco ritorna nel 1529, almeno giuridicamente, agli antichi proprietari, i Savoia: in quell'anno infatti venne ceduto alla madre di Emanuele Filiberto, Beatrice del Portogallo, come appannaggio per il figlio. E sarà proprio Emanuele Filiberto, dopo la vittoriosa battaglia di San Quintino e il conseguente trattato di Cateau Cambrésis, con cui ritornava finalmente padrone in casa propria, a preoccuparsi di nuovo del castello. La costruzione venne riattata, le torri rafforzate, le difese esterne rimesse in funzione. Così attrezzata, la fortificazione fu ancora in grado di servire onorevolmente durante un paio d'assedi, portatigli, nella prima metà del XVII secolo, dai monferrini e dagli spagnoli.
Tuttavia, la sua funzionalità militare era agli sgoccioli, com'era ovvio per un apprestamento trecentesco, del tutto impreparato a fronteggiare l'artiglieria.
Nel 1691 Vittorio Amedeo II, deciso a concentrare la difesa dei propri territori in poche piazzeforti, solidamente costruite e opportunamente munite di idonei bastioni, invece che in una miriade di fortificazioni medioevali, difficilmente adeguabili alle nuove esigenze belliche a ancor più difficilmente guarnibili, fece minare il castello, diroccandolo come opera militare, così che non potesse più servire, ora che era stato abbandonato dalle sue truppe concentrate nella nuova piazza di Cuneo, come eventuale punto d'appoggio per un esercito nemico. Così le torri dei Visconti furono fatte saltare da un Savoia.
Quanto restava dell'antico castello, ridotto a semirudere, funse da caserma fino al 1815, e da abitazione agricola, poco più che un "modesto cascinale", come dice un cronista, fino all'inizio del Novecento.
Poi, nel 1911-1912, la rinascita. Passata in mano a nuovi padroni, da cui discendono gli attuali proprietari, la costruzione venne riattata in maniera quasi integrale, sotto la supervisione del grande Alfredo D'Andrade, ma con l'effettiva direzione dei lavori da parte di un suo emulo, l'architetto Betta.
Ripristinato l'apparato murario, con notevoli inserimenti e interpolazioni, rialzate le torri, fu questa l'operazione più grande ed incisiva, anche l'interno venne completamente rifatto. Non però stavolta sul modello medioevale, che più o meno bene aveva guidato il restauro, o per meglio dire la ricostruzione dell'esterno, bensì secondo modi barocchi: "una bella palazzina settecentesca, di cui appare all'esterno: con un ampio giardino all'italiana", una perfetta residenza castellata, nella più classica tradizione piemontese. Com'è tutt'ora.
Bibliografia
F. Conti, Castelli del Piemonte, vol. III, Görlich, 1980.
A. Piovano, L. Fogliato, G. Cigna, I Castelli itinerari di poesia, storia, arte nel cuneese di ieri e di oggi, Cavallermaggiore, 1976.