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La paga del sabato

La paga del sabato è un romanzo breve, dedicato al problema dell’inserimento nella società civile dei protagonisti della Resistenza.
Beppe Fenoglio attende la pubblicazione del libro da Einaudi nel 1950; ma l’opera è stroncata dal giudizio negativo di Vittorini, che suggerisce di estrapolare dal contesto narrativo due racconti: “Ettore va al lavoro” e “Nove lune”, che appariranno nella raccolta dal titolo I ventitre giorni della città di Alba (1952).
Nel 1969, il romanzo La paga del sabato è pubblicato postumo, nella sua versione originale.
Il protagonista è Ettore, un ex partigiano, incapace di rassegnarsi alle regole ed alla monotonia di un lavoro modesto: “Io non mi trovo in questa vita perché ho fatto la guerra"[1]
Ettore desidera un “destino” diverso da quello dei suoi genitori e, pur di sottrarsi alla noia, s’impegna in attività redditizie, ma illecite.
Quando decide di abbandonare gli affari, di lavorare onestamente e di sposarsi, muore per un banale incidente.
Colpiscono, per la drammaticità e l’introspezione psicologica, le pagine dedicate ai dialoghi di Ettore con la madre, che si trasformano in scontri violenti, ma sempre dominati da un amore profondo, inespresso e cupo.
Per Gina Lagorio, La paga del sabato “è una storia d’impianto neoverista, senza in realtà esserlo.
Ci sono gli elementi consueti, è vero, l’ambiente paesano, una precisa realtà piemontese, c’è la Resistenza e la guerra, motivi presenti, ma sfumati nel ricordo che colora d’inaccettabilità il presente, ma c’è, soprattutto, la carica d’umanità di Fenoglio, che scava nei suoi personaggi fino a trovare la loro più fonda verità, che è psicologicamente individuale, ma si carica di nessi e legami universali”[2].

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